Una delle prime e più importanti novità legislative dell’anno, già salutata da più parti come un cambiamento epocale è la modifica dell’art 2086 comma 2 codice civile (ora rubricato “Gestione dell’impresa”), delineando un nuovo assetto organizzativo d’impresa.
In particolare, il nuovo comma introduce il dovere in capo all’imprenditore che operi in forma societaria o collettiva di dotarsi di un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa.
Tale assetto dovrebbe permettere all’imprenditore di: rilevare tempestivamente la crisi e la perdita di continuità aziendale, pianificare tempestivamente interventi e rimedi, nonché di attivarsi per l’adozione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale.
Il dovere di istituire tale modello organizzativo è stato esteso quindi a tutti i tipi societari, inclusi i modelli a carattere personale.
Ma cosa si intende per assetto organizzativo, amministrativo e contabile?
Si intende il complesso delle direttive e delle procedure stabilite per garantire che la gestione dell’impresa societaria si esprima a un livello operativo adeguato.
Un efficace sistema di controllo interno e di gestione dei rischi contribuisce a una conduzione dell’impresa coerente con gli obiettivi aziendali definiti dall’alta direzione, favorendo l’assunzione di decisioni consapevoli. Esso concorre ad assicurare:
- la salvaguardia del patrimonio sociale;
- L’efficienza e l’efficacia dei processi aziendali;
- L’affidabilità delle informazioni fornite agli organi sociali ed al mercato;
- Il rispetto di leggi e regolamenti nonché dello statuto sociale e delle procedure interne.
Gli assetti organizzativi, inoltre, risulteranno adeguati allorquando permetteranno la chiara e precisa indicazione dei principali fattori di rischio aziendale e ne consentiranno il costante monitoraggio e la corretta gestione.
In questi anni si è passati da una tradizionale accezione del controllo ex-post verso un controllo dell’attività d’impresa work in progress e, in ultimo, con l’introduzione del D.Lgs. 231/2001, poi della c.d. L. Madia e quindi della Riforma della Crisi d’impresa, verso un controllo in prevenzione.
Viene pertanto introdotto il concetto di rischio, definibile come la combinazione delle probabilità di avvenimento di un evento e del suo impatto.
È una svolta culturale. L’essere compliant alle regole poste dal Codice della Crisi, induce anche al rispetto di un basilare principio di sana ed efficiente conduzione dell’azienda ed impone una consapevole valutazione ex ante dell’effetto, anche quantitativo, delle decisioni strategiche che vengono assunte.
Negli ultimi cinque anni decine di migliaia di imprese di ogni dimensione sono state vittime di crisi aziendali, in varie forme. Molte hanno dovuto arrendersi, moltissime stanno ancora lottando per la sopravvivenza, qualcuno è riuscito a uscirne.
In quasi tutte le situazioni di crisi si trovano tracce di una parziale o totale assenza di strumenti di controllo delle variabili gestionali.
Contabilità in ritardo, scarsa dotazione informatica, mancanza di informazioni precise sui margini industriali di 1° e di 2° livello sono sintomi di particolare gravità.
La navigazione a vista, basata solo sull’esperienza, può rivelarsi molto pericolosa quando i margini si assottigliano. La presenza di un sistema di controllo di gestione tempestivo aiuta a rilevare altri segnali della crisi.
Crisi d’impresa: quali soluzioni?
Un certo impulso ad una visione risk approach è venuto dalla norma ISO 9001 sulla qualità che ha introdotto il risk based thinking, che comporta l’adozione di una visione globale dei rischi dell’attività aziendale unitamente ad un sistema di controllo di gestione.
E allora proprio questo può essere il punto di partenza: implementare una serie di procedure che permettano all’azienda di lavorare in maniera organizzata, monitorando i dati in modo tale da prevenire situazioni di crisi aziendali.
La vera sfida dell’impresa è sfruttare al meglio le nuove potenzialità digitali ed il primo sforzo non è tecnologico, ma organizzativo: portare elementi abilitatori e nuove “consapevolezze”; aiutare il team interno a cambiare il modo di pensare, osservare e operare in chiave digitale.
Di Laura Carinci, Dottore Commercialista esperta in Revisione ed Organizzazione Aziendale
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